venerdì 15 marzo 2013



Non avevo la stella. La testimonianza di una bambina deportata per errore



Titolo: Non avevo la stella la testimonianza di una bambina deportata per errore.
Autrice: Marisa Erico Cantone
Prefazione: Di Aldo Cazzullo
Pagine:332
Copertina:in copertina foto archivio USHMM.


TRAMA
" Due bambine si accostarono a parlarmi in Tedesco. Una delle due chiese perché non avessi anch'io una stella cucita sul vestito.Rimasi perplessa a quella domanda e naturalmente non fui in grado di fornire una risposta.Quando ritornai alla baracca, chiesi a mia madre come mai non avessi la stella gialla come quelli dell'altra parte del campo. Mamma sembrò imbarazzata, ma senza esitazione alcuna mi ripose:"Sarà perché non siamo ancora abbastanza importanti, Quando lo diventeremo, ne daranno una anche a noi",L'indomani mi azzardai a spiegare la cosa alla ragazzina ebrea: restò pensierosa per un istante, ma poi il suo sguardo si illuminò al idea di essere "importante".Quando tempo dopo seppi il significato della stella gialla applicata sul vestito, mi resi conto che ai bambini gli adulti non avevano rivelato il triste destino a cui quel simbolo era collegato".

Un papà. una mamma e una bambina di otto anni. La storia di una famiglia travolta dagli ultimi, terribili avvenimenti della Seconda guerra mondiale.La partenza  da Maestre per i Sudeti al fine di ricongiungersi con i parenti di lingua Tedesca della madre;un in equivoco burocratico, le vicissitudine della sopravvivenza nei campi di transito e di sterminio dell'Europa Centrale, l'arrivo dei territori cechi occupati dal 3 Reich, il lavoro forzato e finalmente il rientro in Italia, con mezzi di fortuna, dopo la Liberazione, sono osservati in questo libro con gli occhi di una bambina che voleva avere anche lei una stella cucita sul vestito, come i bambini ebrei nei lager.

RECENSIONE

Cari lettori è un bel libro commovente e pieno di speranza. Che nei lager la speranza serviva per sopravvivere.Questa famiglia non era ebrea, ne partigiana , ne politica, ne zingara, era una famiglia italiana che aveva un cognome normalissimo "Worfel". ma non si sa come il nome viene modificato e i tedeschi pensavano che erano imparentati con lo scrittore ebraico che si chiamava: "Franz Werfel". La loro vita cambiò invece di raggiungere i loro parenti furono mandati nei campi di concentramento a lavorare e a subire violenze inaudite dal SS. Dopo aver letto questo libro ho scoperto un può di tasselli che mi mancavano ed ho un po' di risposte.  Ora so di perdonare i soldati tedeschi perché dovevano eseguire i compiti senno venivano fucilati. Era un circolo dell' inferno comandato solo da una persona mandata dall'inferno.
Riprendo una cosa tratta da libro:
Sono trascorsi più di sessant'anni dalla deportazione e pur non essendomi mancate nella vita le più belle soddisfazioni che potessi augurarmi, non sono mai riuscita a cancellare l'invisibile cicatrice che mi porto dentro.La mia vicenda in un piccolo filo, intrecciato nell'immensa trama della storia con la S maiuscola. Tuttavia, se qualcuno nel leggerla riuscirà ad avere una pallida idea della drammaticità di quei tempi bui, provando solo piccolo trasalimento nel realizzare quanto sia stato doloroso e disumano ciò che accade a milioni di persone innocenti, non avrò speso invano il mio tempo.Se poi uno dei fanciulli con il pigiama a righe e con la stella gialla sul petto, che ho visto scalpicciare a piedi nudi sul fango gelato al di là di un filo spinato, fosse miracolosamente scampato alla morte e avesse occasione di scorrere queste pagine , gli ricordo che ero io la bambina dalla mantellina rossa, quella che non aveva la stella, ma che era riuscita a farlo sorridere qualche istante grazie a una marionetta di lana marrone, delle fattezze di una piccola scimmia.
Un altra cosa che mi ha colpito è quando la piccola nel lager fa amicizia con gli intellettuali che per i tedeschi era una brutta razza e lei parla a loro dicendoli:" Le razze non esistono per noi umani, ma la razza esiste solo per gli animali." Questa frase l'ho imparata dalla maestra che si chiamava Cirillo.




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